IL FUTURO DI TRENTO NON ESISTE SENZA DISCONTINUITA’ CON IL PASSATO

Riportiamo un interessante articolo sul futuro di Trento tratto dal blog di Antonella Valer, Libera e Uguale, del 10 febbraio 2021

 

IL FUTURO DI TRENTO NON ESISTE SENZA DISCONTINUITA’ CON IL PASSATO

Riflessioni sui progetti ferroviari, la riconversione ecologica e la Trento che verrà

a cura di Elio Bonfanti, Lorenza, Erlicher, Franco Tessadri, Antonella Valer

Il dibattito in corso sul “futuro di Trento” (iniziato su l’Adige con l’articolo Mauro Marcantoni del 18 dicembre 2020 a cui si aggiunge una nota del Sindaco Ianeselli di data 14 gennaio 2021 e due pregevoli ed approfondite interviste – il 27 e 28 gennaio 2020- di Domenico Sartori al Sindaco di Trento ed al neo Assessore alla riconversione ecologica Ezio Facchin) ha tratti paradossali.

Ad originare la discussione la presunta “accelerazione” che avrebbe avuto recentemente la decisione di realizzare il “3° lotto funzionale della linea di Alta Velocità ed Alta Capacità della ferrovia del Brennero (TAV/TAC), ovvero la circonvallazione di Trento e Rovereto”.

In verità parlare di “accelerazione” è sbagliato e fuorviante.

 

L’unica novità (su cui sarà bene discutere circa la opportunità e la congruità con le finalità generali) consiste nel fatto che pare che nelle 56 pagine del Recovery Plan, il piano europeo di aiuto agli stati membri per affrontare le questioni strategiche poste in essere dalla crisi originata dalla pandemia da Covid 19, il Governo italiano abbia incluso anche questa opera e che quindi siano disponibili una parte consistente dei soldi (950 milioni di euro) per la realizzazione dei dodici chilometri di galleria in sinistra Adige, dai Murazzi allo Scalo Filzi, che costituiscono la circonvallazione ferroviaria di Trento. La notizia infatti non è ancora certa neppure per i sostenitori della scelta visto che proprio attorno ai contenuti del Recovery Plan si è dimesso il governo Conte bis, e il nuovo governo, costituendosi sulla base di un patto di legislatura, ben difficilmente si asterrà dal riprendere in mano quanto deciso in merito agli aiuti europei dal governo precedente.

Ma a rendere evidente che parlare di “accelerazione” è sbagliato ci sono alcuni altri elementi.

 

L’unico progetto che esiste della circonvallazione di Trento data 2008. Su di esso con delibera n.134 del 14 ottobre 2009 il Consiglio Comunale di Trento “esprimeva parere positivo, subordinando il suddetto parere favorevole all’ avvenuto superamento della criticità dettagliatamente riportate nelle premesse, che sono da considerarsi integralmente recepite nel presente dispositivo”.

Da allora in poi più nessun progetto risulta depositato presso gli uffici pubblici comunali e provinciali. Come non risulta esistere o essere stato approvato dal Ministro competente quel “Progetto di fattibilità tecnica ed economica” che dovrebbe essere la premessa delle scelte pianificatorie successive.

Ed anche su questo, a voler fare i “pignoli”, ci sarebbe da discutere. Che si applichino in Trentino, Provincia Autonoma dove la competenza urbanistica è di carattere primario, pedissequamente e senza neppure il recepimento legislativo, i disposti della “legge Obbiettivo” (che infiniti danni ha arrecato al paese) è infatti assai discutibile. Per altro verso sia il PUP in vigore dal 2008 che il PRG di Trento, come modificato alla fine del 2019 dal Consiglio Comunale, non contengono il tracciato dell’opera in questione. In particolare il PUP del 2008 contiene solo l’ipotetico corridoio del TAV/TAC del Brennero e dovrà essere modificato qualora alla ipotesi dovesse subentrare la certezza; ed infine la eventuale modifica dovrebbe essere realizzata solo in seguito alla predisposizione ed approvazione da parte della Provincia Autonoma anche della “Valutazione Ambientale Strategica” (VAS), il cui regolamento è stato appositamente varato nel 2009.

Per modificare il PUP i tempi sono definiti dalla apposita legge, e comunque in assenza di progetto e rispettando la procedura prevista, è ragionevole parlare di almeno 18/24 mesi. Solo allora sarà possibile modificare anche il PRG, ed anche in questo caso, pur pensando ad una “variante per opere pubbliche”, i tempi di entrata in vigore non sono inferiori ai 12/18 mesi, sempre se si rispettano le normative vigenti.

Per ben che vada quindi serviranno almeno tre anni solo per la progettazione dell’opera ed il rilascio dei nulla osta da parte delle istituzioni interessate

“L’accelerazione” di cui si parla insomma assomiglia più ad un tentativo di mettere tutti di fronte ai fatti compiuti, impedendo che la scelta sia ponderata non solo sul piano degli effetti urbanistici e sulla qualità della vita urbana ma anche di capire se è davvero in linea con quella “riconversione ecologica dell’economia” che dovrebbe avere nella difesa dell’ambiente, nella manutenzione del territorio, nella mutazione del modello di sviluppo e nella lotta alle modificazioni climatiche i suoi presupposti. “Businnes green” e “riconversione ecologica” non sono “sinonimi” ed in questo campo la fretta non è solo cattiva consigliera ma presupposto per scelte opache e spesso in conflitto sia con corrette politiche ambientali che con politiche si sviluppo reale.

Ma torniamo alla delibera 134/2009 del Comune di Trento ed alle criticità che allora il Consiglio Comunale indicava.

Chi ricorda quella discussione sa che alcuni consiglieri comunali avevano addirittura ipotizzato un ricorso al TRGA (Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa) contro quella delibera in quanto dalla sua lettura risultava evidente che le problematiche che la realizzazione di quell’ opera arrecava alla città (e che nel documento erano puntualmente elencate) ne sconsigliavano la realizzazione.

Per passare al dettaglio il documento in parola evidenziava

1. La non conformità fra le previsioni urbanistiche del PRG e il progetto di galleria e circonvallazione; in particolare il PRG di Trento non contiene alcuna previsione urbanistica di una stazione internazionale presso lo scalo Filzi, né la realizzazione su quel sedime di un parcheggio multipiano (come erroneamente era invece asserito nel progetto ). Il consiglio comunale contestava inoltre sia il sovradimensionamento della stazione proposta che la sua localizzazione, in evidente contrasto con la scelta, operata anche dalla Provincia e dalla ferrovie, di includere quell’area dentro il ragionamento più generale del “nuovo scalo ferroviario a Roncafort” (intermodalità dell’ interporto di Trento ndr) su cui la Provincia ha investito grosse quote di denaro pubblico. A conferma di tale proposito si era giunti ad una permuta fra Comune e ferrovie fra lo scalo Filzi e l’area di Roncafort necessaria all’ampliamento dello scalo.

2. Gli impatti ambientali ed antropici della nuova tratta (la circonvallazione) che portano il progetto a sottostimare gli impatti e gli effetti dell’opera nei confronti del contesto territoriale e delle previsioni urbanistiche. In particolare il progetto proposto non affronta il problema dell’impatto che la nuova stazione e i 1000/1200 posti auto del parcheggio multipiano avranno “sulla qualità ambientale dell’intorno, nonché sulla mobilità complessiva della città sia in fase realizzativa (per circa 10 anni via Brennero verrà chiusa ed i traffico deviato su di una tangenziale già oggi fortemente congestionata, ndr) che a seguito della avvenuta realizzazione (che la realizzazione di una nuova stazione sia una scelta attrattiva di traffico veicolare è innegabile, ndr)”.

3. “Il progetto non affronta il problema della interferenza con la fossa degli Armanelli nè con i terreni inquinati di Trento Nord (SIN di interesse nazionale), per il quale non sono ancora stati determinati i tempi di bonifica” (situazione che continua anche ora – come risulta evidente dalla intervista di Domenico Sartori al Sindaco- e vede i proprietari dell’area sottoscrivere e sistematicamente disattendere gli accordi sottoscritti, nel tentativo di imporre un falso disinquinamento delle aree e reintrodurre surrettiziamente la già respinta ipotesi del “sarcofago” in calcestruzzo, dentro cui rinchiudere l’area, disinteressandosi invece di un disinquinamento sistematico e della messa in sicurezza delle falde acquifere).

4. Il progetto non affronta le problematiche conseguenti all’esigua dimensione dello strato di terreno che permane tra la galleria “Buonconsiglio” ed il terreno urbanizzato sovrastante” (trattasi appunto del quartiere di San Martino e del Castello del Buonconsiglio sotto cui dovrebbe passare la bretella di congiunzione fra la circonvallazione che transiterebbe sotto la Marzola e la nuova stazione allo Scalo Filzi). Al proposito non può sfuggire che la realizzazione delle gallerie dai Crozi a Melta ha causato problemi sia in località Solteri, che in via Malvasia che sulla collina di Melta; e si trattava di un opera non contigua alle località interessate!

5. “Il progetto non affronta gli aspetti riguardanti l’attraversamento in sicurezza di aree urbane, nonché della nuova stazione, per accedere allo scalo Filzi, da parte dei treni che trasportano sostanze pericolose”. Inoltre non è previsto nulla “relativamente agli scenari evolutivi della movimentazione delle merci da e per lo scalo di Roncafort”, pensato e voluto proprio per garantire lo scambio strada-rotaia delle merci ed oggi fortemente penalizzato a favore del Quadrante Europa di Verona.

6. Il progetto interferisce con il sistema di reti e con i sottoservizi di pubblico interesse. A tale proposito interferirà sia con le reti di sottoservizi e con le fognature cittadine provocando la necessità di una loro almeno parziale nuova realizzazione (con ingenti costi aggiuntivi, ndr).

7. “Né lo studio di fattibilità né il progetto affrontano con la necessaria esaustività gli aspetti relativi allo spostamento della ferrovia della Valsugana” o l’intersezione con la Trento Malè, almeno nella fase realizzativa della nuova stazione sullo Scalo Filzi.

8. Geologia, idrogeologia e idrologia. Manca una valutazione sulla realizzazione della galleria sotto la Marzola “poiché l’opera andrà ad interferire con i delicati equilibri geologici presenti” (falde acquifere e sorgenti che alimentano l’acquedotto della città). “Ulteriori approfondimenti e valutazioni dovranno essere dedicati agli effetti che le opere interrate previste nell’ area ex Scalo Filzi produrranno nell’area collocata a monte idrogeologico. Infatti la presenza di una falda superficiale e l’effetto diga che potrebbe produrre lo sbarramento causato dalla presenza dei manufatti posti trasversalmente al naturale deflusso della falda stessa, potrebbe provocare problemi di allagamento delle aree collocate a monte”.

9. Cantierizzazione. Sul territorio comunale sono previste due aree di cantiere: una a sud in località Acquaviva ed una a nord nell’ex scalo Filzi. “Per l’ area dello Scalo Filzi, localizzata praticamente in mezzo alla città, dovranno essere approfondite sia le ripercussioni che lo stesso avrà sulla qualità ambientale dell’ immediato intorno che le modalità per il trasporto del materiale di scavo tali da non creare disagi alle abitazioni esistenti né disagi al traffico locale e di transito”; per il cantiere localizzato invece in località Acquaviva si chiede di localizzare il più possibile distante da villa Bortolazzi non solo il cantiere ma anche l’ uscita della galleria. Altro terreno da approfondire riguarda il destino delle terre e rocce da scavo che verranno prodotte nella realizzazione dell’opera”

[….]”Inoltre si chiede che siano preventivamente individuati ed indicati i tempi ed i siti nonché le modalità di riutilizzo e smaltimento delle terre e rocce da scavo risultanti dalla realizzazione della galleria”.

Infine il Consiglio comunale raccomandava di tenere conto degli effetti delle lavorazioni predisponendo apposite barriere anti-rumore, di vagliare la possibilità che l’opera non sia realizzabile nella sua interezza ed entri in funzione per lotti ed infine chiedeva che fosse realizzato un nuovo progetto e che questo fosse sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale e corredato di tutti quegli adempimenti, in primis un piano per lo smaltimento ed il riutilizzo della grandissima quantità di smarino che verrà prodotta dagli scavi, che in prima battuta erano stati tralasciati.

Allo stato dunque questi sono sull’opera gli unici documenti pubblici che hanno un valore urbanistico/legislativo.

Nel suo articolo Marcantoni ci ricorda che nel 2018 è stato firmato fra Comune di Trento, Rete Ferroviaria Italiana e Provincia un protocollo poi perfezionato con un Atto aggiuntivo che metteva in relazione la realizzazione della circonvallazione di Trento con l’interramento della ferrovia nel tratto fra l’area dove è previsto il nuovo ospedale e largo Martiri di Nassyria e con la realizzazione del Nordus.

Ma quel protocollo non cancella ne azzera le preoccupazioni e le criticità evidenziate con la delibera del Consiglio Comunale del 2009 e, elemento ancora più importante, non tiene conto della pandemia da Covid 19 che dal febbraio 2020 ha colpito il mondo mutando nel profondo le politiche degli Stati e della Unione Europea e mettendo in primo piano i problemi dell’ambiente, della vivibilità e della cura.

Se la prospettiva europea, a cui pare tutti gli interlocutori ambiscano, deve essere messa al primo posto non c’è dubbio che il progetto del TAV/TAC del Brennero va rivisto e ridimensionato. Una cosa è togliere la strozzatura del Brennero, altra è invece la realizzazione di un opera che a qualsiasi occhio attento non può che sembrare sovradimensionata ed inutile (si pensi solo al fatto che si parla di 150 chilometri di gallerie su 180 di percorso previsti nella tratta Verona Brennero! Un’ opera pericolosa ed ambientalmente molto dannosa per le città di Trento e Rovereto).

Dopo la crisi del 2008 il traffico delle merci si è fortemente ridotto (meno 60%) e le indicazioni dicono che non crescerà perché sono mutati gli scenari internazionali e in conseguenza con la scelta ambientale sono mutati i consumi (si pensi alla grande importanza che ha oggi il KM zero o la stagionalità dei prodotti). Sulla Autobrennero il 60% (ed arriva al 90 nei giorni festivi o durante alcuni periodi dell’ estate) del traffico è automobilistico e gran parte ha targa straniera.

La pandemia ha mutato anche il lavoro e parti consistenti della forza lavoro opera in smart working da casa, e lo farà anche nel futuro, mentre gli investimenti si muovono in direzione della digitalizzazione e della industria 4.0, con al centro una forte automazione delle produzioni.

Tremano le vene ai polsi a pensare come sarà Trento nei prossimi 20/25 anni leggendo l’intervista del neo assessore Facchin su l’Adige , che fa trapelare i contenuti di un conchiuso di Giunta del dicembre scorso, di cui, come purtroppo è prassi in questa vicenda (alla faccia della trasparenza e della condivisione delle scelte!) non si sa nulla.

Nelle previsioni di Rfi (rete ferroviaria italiana) si procederà prima con lo scavo dei 12 chilometri di galleria da Acquaviva allo scalo Filzi dove verrebbe realizzata una stazione provvisoria (pare parzialmente sottoterra) e poi all’interramento della linea ferroviaria esistente. Questa realizzazione oltre a portare con sè le criticità denunciate nel 2009 costringerà, secondo uno studio realizzato dagli uffici comunali alla “demolizione del sottopasso di via Fratelli Fontana, che sarà alzata di circa due metri rispetto alla quota attuale, la eliminazione del sottopasso pedonale di via Lampi, la demolizione del sovrapasso ferroviario di San Lorenzo”. Il sottopasso di via Canestrini e di via Verdi saranno demoliti come il sottopasso del Muse in via Madruzzo”, sarà necessario il rifacimento del sottopasso di via Taramelli, mentre pare verranno mantenuti i sottopassi delle Aziende Agrarie (da via Perini) e quello di via Monte Baldo”, più una infinità di modifiche viarie.

Tutto questo per liberare il sedime ferroviario attuale, 12 ettari, su cui pensare a nuove realizzazioni: l’attuale PRG prevede il boulevard progettato da Busquets, mentre il presidente dell’ordine degli architetti, il sempiterno architetto Giovannazzi (non estraneo a parecchi interventi di edilizia speculativa in città già a partire dagli anni 70/80) parla di negozi e riqualificazione urbana, mentre il nuovo sindaco sogna Berlino e le realizzazioni sul sedime dello storico muro, demolito nell’anno d’oro del neo liberismo, il 1989.

Chiamiamo le cose con il loro nome. Questa non è una “riconversione ecologica”, questa è la fiera del cemento e della edilizia classica, fatta di case, di strade, di gallerie e di grandi opere.

Trento, secondo queste previsioni, nei prossimi 30 anni sarà un cantiere: a ovest, da Acquaviva a Trento Nord dodici chilometri di galleria e la realizzazione di una stazione provvisoria allo scalo Filzi, a est l’interramento della attuale linea ferroviaria da dopo il quartiere delle Albere a Largo Caduti di Nassyria e la realizzazione della nuova stazione ipogea in Piazza Dante e ancora la realizzazione del boulevard (attualmente previsto dal PRG) che per essere tale avrà bisogno di almeno un milione di metri cubi di nuova edificazione; a nord, forse, la “bonifica” delle aree inquinate e i 500 mila metri cubi del Magnete; a sud il Nuovo ospedale; in centro e nelle aree limitrofe la nuova stazione in piazza Dante e la stazione provvisoria allo scalo Filzi, e la riqualificazione dell’area di Piedicastello; “dove non si sa” un paio di milioni di metri cubi di terreno e roccia e sull’area dello scalo Filzi e nelle vicinanza di villa Bortolazzi i cantieri per la galleria, questo senza tenere conto delle criticità poste dal documento del consiglio comunale nel 2009 e dei lavori per rendere compatibile l’esistente al TAV/TAC!

Uno dei paradossi di tutta la vicenda sta nel fatto che nelle ultime sedute della consigliatura 2015 -2020 (meno di un anno fa!) il Consiglio Comunale ha approvato un nuovo Piano Regolatore. Dopo aver creato ex novo, sulla base di uno studio della Provincia, quasi 15 ettari di aree per attività commerciali, aver autorizzato in Bondone la creazione di un lago artificiale per l’innevamento delle piste ed aver concesso la edificazione della parte sud delle aree inquinate di Trento nord, sottraendole al vincolo della bonifica, il PRG è redatto all’insegna del “blocco della edificazione, del risparmio del territorio, del riuso dell’esistente, della necessità di non incentivare l’inurbamento di Trento”. Neppure una parola, né una riflessione per quella che oggi viene prospettata come “la occasione della vita per città”!

E’ evidente che ad operare in questo modo si lasciano le scelte sulla città nelle mani dei poteri forti e della speculazione, che a prevalere saranno gli episodi edilizi a scapito di un disegno urbanistico unitario e razionale.

Sulla opportunità di queste scelte, in un frangente storico come questo, la città deve poter discutere e non va messa davanti alle scelte compiute.

In piena crisi della globalizzazione il modello di sviluppo proposto per Trento (ma anche per la provincia) sposa in pieno la tesi “mantra” del neo liberismo, la necessità di adattare i luoghi ai flussi, disinteressandosi dei territori, delle loro specificità, delle loro caratteristiche, delle loro vocazioni. Si parla tanto di nuove generazioni e ai giovani di questa città si prospetta di vivere per decenni in un cantiere aperto, di mettere a repentaglio quelle dimensioni positive che Trento ha faticosamente conquistato, il suo essere nel contempo una città universitaria, del turismo museale, la città dei mercatini di Natale, della riqualificazione architettonica del centro storico…

Il dibattito sul futuro della città non può prescindere dal posto dove è collocata, dal fatto che le elezioni provinciali del 2018 hanno segnato una cesura fra città e periferie, che va ricostruito un rapporto fra Trento e le valli, che le funzioni politiche, amministrative, culturali, scolastiche, non possono e non devono essere concentrate sul capoluogo perché in questo modo si favorisce l’abbandono della montagna, lo spopolamento dei paesi e si aiuta il dissesto ambientale, che bisogna operare per un riequilibrio territoriale, che le risorse vanno distribuite non concentrate tutte sulla città.

Le scelte prospettate invece sono tutte all’insegna del gigantismo e della speculazione immobiliare e finanziaria, si continua a fare “programmazioni urbanistiche” senza ragionare sulle quantità e senza una visione. Non si riflette o meglio si fa finta di non vedere che il gigantismo ha a Trento, nel quartiere delle Albere, uno dei suoi più evidenti esempi (e solo l’intervento pubblico ha per ora salvato parzielamente gli investitori dal fallimento), che creare a fianco del centro storico una nuova entità urbanistica al cui centro sta il boulevard costringerà a spostare funzioni dal centro storico verse quella nuova entità, impoverendo una delle eccellenze urbane, il centro storico appunto.

Trento è una città dove emergenza abitativa e questione sociale sono sinonimi e quello che manca, per volontà politica in primo luogo, è la edilizia economico popolare che se opportunamente gestita e finanziata ha dimostrato di saper contrastare i fenomeni di espulsione delle categorie e delle attività povere dal centro cittadino. Oggi ci sono circa 1000 alloggi ITEA sfitti perché non esiste un piano di risanamento e di ristrutturazione della edilizia pubblica ed è da lì, dal riuso dell’ esistente, e non dalla nuova edificazione, che deve partire la politica edilizia cittadina, utilizzando a pieno il superbonus statale anche per dare vita ad un vero e proprio piano di edilizia abitativa pubblica. Che ristrutturi gli alloggi fatiscenti o non a norma, capace di dare casa e dignità abitativa alle classi meno abbienti.

Basta girare per la città per capire che oggi non c’è bisogno di nuovi negozi. Il centro storico e la semiperiferia sono pieni di cartelli che offrono locali in affitto e da comperare: più di un negozio su tre ha chiuso e che forse non riaprirà.

La pandemia ha cambiato il lavoro, gli stessi locali pubblici di ristorazione, bar e ristoranti, sono entrati in una crisi strategica. Erano anni che gran parte dei bar, delle trattorie o delle pizzerie viveva sui buoni pasto dei dipendenti pubblici, lo smart-working ha messo in crisi queste attività che oggi o sanno riprogettarsi o rischiano il fallimento. Sono politiche di riqualificazione di questi lavoratori, ristori per aiutarli nella fase della forzata chiusura, e la creazione di opportunità nuove e gratificanti quello che necessita, non la riproposizione di un modello di sviluppo in crisi e in fase decadente.

Certo, spostare il traffico merci dalla gomma alla rotaia è un obiettivo strategico e di grande valore ambientale ma non serve pensare alle grandi opere per favorire questo spostamento. La valle dell’Adige non può e non deve essere trasformata in un nastro trasportatore di merci prodotte in Veneto per il mercato tedesco, alla cui filiera produttiva quella regione appartiene. L’Autobrennero deve interrompere la politica del basso pedaggio che attrae su quella linea parti consistenti di traffico pesante che potrebbe più agevolmente usare altri passi alpini ma preferisce allungare le tratte per pagare una minore tariffa autostradale.

Le ferrovie hanno elaborato in passato un progetto di ristrutturazione della linea del Brennero che costa molto meno della alta velocità, ed ha basse controindicazioni ambientali, è da quello studio ( che una volta realizzato prevedeva come il TAV il passaggio sulla Brennero di 400 treni al giorno, quantità sovrabbondante rispetto alle necessità) che bisogna ripartire sapendo che la galleria di base ha risolto il problema dello strozzamento che rallentava i flussi e che il problema del rapporto con il territorio è essenziale.

Spostare il traffico merci dalla gomma alla rotaia significa anche elettrificare la ferrovia della Valsugana ed attrezzarla per essere una via fondamentale del trasporto merci su rotaia, innestandola sulla Brennero ed a questo scopo favorendo la intermodalità dell’Interporto di Trento, che la alta velocità vorrebbe condannato ad un inesorabile declino.

Infine, ma non per importanza, il problema della crisi climatica, emergenza mondiale.

Da questo punto di vista l’opera proposta è completamente in contrasto con l’impegno di ridurre del 50% le emissioni di CO2 nel 2030 e di azzerarle entro il 2050.

A dirlo è perfino lo studio titolato “Bilancio della CO” realizzato da BBT (Beobachtungsstelle Brenner Basistunnel, il consorzio che sta realizzando l’opera) nel maggio del 2014.

In sintesi si legge che “dalla analisi della fase di costruzione del BBT e dei lotti 1 e 2 dell’accesso a sud (senza considerare quindi la circonvallazione di Trento che costituisce il lotto 3) risulta che la quantità di CO2 emessa ammonta a 3.167 migliaia di tonnellate”. “La CO2 emessa per la realizzazione del tunnel di base e dei lotti 1 e 2 è compensabile in 19-20 anni di esercizio della nuova linea” (!). Ed ancora, “i risultati ottenuti per mezzo di simulazioni di esercizio stimano un risparmio annuale compreso fra 207 – 223 migliaia di tonnellate di CO2 grazie all’ utilizzo della nuova linea ferroviaria per il trasporto merci”. “Il valore di merci che è necessario trasferire dalla strada alla rotaia per compensare le emissioni dalla fase di costruzione dell’ infrastruttura è pari a 277 milioni di tonnellate”.

Non sono solo i tempi a confliggere con gli impegni europei sulla emissione di CO2: se il tunnel venisse aperto nei tempi previsti, 2028, dovremmo attendere fino al 2050 solo per azzerare gli effetti della sua realizzazione. Mentre, sempre stando agli impegni sul clima nel 2050 dovremmo aver azzerato le emissioni di CO2 in tutti i paesi industrializzati!

Il traffico merci su rotaia attraverso il Brennero (import-export) nel 2017 (il dato è delle camere di commercio) è stato di 13,8 milioni di tonnellate di merci (35,6 milioni di tonnellate quello su gomma), un dato che conferma i tempi previsti dallo studio e che evidenzia come solo per annullare gli effetti delle emissioni di CO2 dovute alla realizzazione dell’ opera sarebbe necessario raddoppiare nei prossimi 20 anni il traffico merci su rotaia, obbiettivo che non si sono mai posti neppure i più entusiasti sostenitori del TAC/TAV.

All’ opposto di quanto dichiara il neo Sindaco, che nella intervista su “l’ Adige” illustra “le magnifiche sorti progressive della scelta del TAV”, i soldi del recovery found rischiano di impedire ad una generazione di vivere nella propria città, né tanto meno dovrebbero servire per stravolgerne la fisionomia, attraverso l’ artificiale duplicazione del suo centro storico ed un inutile e ambientalmente dannoso inurbamento ulteriore. Lo spostamento dell’Adige avvenuto negli anni 70 del 1800 non è stato, come i novelli edificatori vogliono farci credere, una opportunità per Trento. La fisionomia della città è urbanisticamente mutata in peggio. Trento con al centro il fiume sarebbe oggi più bella di quella che è. Quello spostamento aveva nelle esigenze militari il suo elemento fondamentale ed è stato fatto ingoiare dalla popolazione dalla occupazione austriaca. La situazione attuale è certo diversa ma l’impianto speculativo è purtroppo identico.

Trento, 2 febbraio 2021