17 gennaio, collina est di Trento, sulle tracce del Tav.

 


 

 

«In ogni società nella quale il tempo è denaro, l’uguaglianza e la rapidità di locomozione tendono ad essere inversamente proporzionali». Ivan Illich

 

Domenica 17 gennaio 2021, cielo coperto e gradi centigradi intorno allo zero.

Poco più di un centinaio di persone si incammina fra strade e sentieri sulle colline a est di Trento.
Una decina di chilometri o poco meno, da Mattarello a Povo, sulle tracce di quella che, “sotterraneamente”, viene definita “circonvallazione ferroviaria di Trento”, un tunnel di 12 chilometri che in realtà è anche uno dei lotti funzionali alla realizzazione della linea ad Alta Velocità Verona-Brennero. Gli antefatti più recenti di questa bruttissima storia raccontavano della comparsa di una trivella di Italferr nel centro faunistico di Casteller, nei pressi di Mattarello, e l’arrivo di Ezio Facchin sulla poltrona dell’assessorato alla “mobilità e alla transizione ecologica” (trasporti) del Comune di Trento. Tutti presagi che annunciavano il rinnovato slancio di progetti mastodontici, tracciati sulla carta, senza badare troppo alle specificità dei luoghi, dei territori e alla vita che li circonda, come se il corridoio Verona – Monaco fosse poco più che un tratto di pennarello. La proposta della camminata sui luoghi del tracciato, all’aria aperta e nel rispetto delle prescrizioni sanitarie per il Covid era stata lanciata in un’altra domenica, a metà dicembre, durante un’assemblea plenaria nell’anfiteatro di Povo.

 

Inizialmente prevista per il 10 gennaio l’iniziativa era stata successivamente posticipata per le restrizioni alla circolazione imposte dal governo. Il 17 gennaio la Provincia autonoma di Trento guadagna lo status di “zona gialla dunque anche la normale partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e politica del territorio può riprendere senza il rischio di sanzioni pecuniariamente elevate. Nonostante il periodo poco felice e l’incertezza totale causata dalle altalenanti disposizioni del governo, la marcia è un successo sia in termini di partecipazione che di composizione. Attivisti, bambini, militanti, famiglie, animali più un megafono e qualche bandiera NoTav si mettono in cammino riallacciando, simbolicamente ma non solo, connessioni e relazioni sia col territorio che con le persone che lo vivono.

 

Il testo di lancio della giornata era estremamente chiaro ed evocativo: “All’Alta Velocità dei treni contrapponiamo la lenta ed inesorabile energia del cammino e la perseveranza della comunicazione diretta e non mediata. Un cammino di confronto, di conoscenza e di messa in evidenza delle problematiche correlate con la realizzazione delle opere previste.” Non a caso, la modalità scelta per la camminata era una sorta di passeggiata “didattica” che ricordava un po’ le “gite al cantiere” organizzate in Val Susa durante il periodo del festival Alta Felicità, solo che per ora, fortunatamente, in Trentino di cantieri circondati di filo spinato e sovegliati a vista da militari in mimetica non se ne intravedeva nemmeno l’ombra, solo vigne, muretti a secco e quertieri residenziali ben curati e avvolti dalla neve. Ad avvertire delle pesanti conseguenze sull’assetto idrogeologico di un territorio fragile come quello del versante occidentale della Marzola ci pensa il naturalista Stefano Mayr che guida l’escursione e che ricorda come quel toponimo, Marzola, nasconda già in sé una storia geologica piuttosto turbolenta. Viene spiegato inoltre come le risorse idriche siano in qualche modo un sistema unico, allacciato e connesso ad un territorio specifico se serve acqua alla Val di Non per la coltivazione delle mele e non ce n’è a sufficienza, da qualche parte quest’acqua verrà pur presa. Tuttavia le risorse idriche di un territorio non sono infinite e se questo progetto le metterà a rischio, così come indicato anche da alcuni documenti ufficiali, ciò comporterà un grosso problema per tutti, per il Trentino in generale. Gli interventi si susseguiranno per tutta la giornata e saranno distribuiti nelle varie tappe del percorso.

Mentre scorrono sotto i piedi Mattarello, Novaline, San Rocco, Gabbiolo, Villazzano e Povo il pensiero viaggia in termini futuri. Pare che dal Recovery Found previsto dal governo (222 miliardi), infatti, ben il 12,7% del totale, cioé 28,3 miliardi, sarà stanziato per l’Alta velocità e la manutenzione stradale 4.0. Nonostante la pandemia abbia reso manifesti tutti i limiti di un modello di svillupo tanto mortifero quanto instabile e insicuro – basti pensare alla fragilità di una sanità colpita da trent’anni di tagli e di privatizzazioni, alla quale, fra l’altro, verrano destinate cifre molto inferiori – sembra che le condizioni generate dal Covid abbiano favorito proprio quei modelli e quegli appetiti che la semplice logica avrebbe già bocciato inesorabilmente.

Lo ricorda anche un intervento alle Novaline – nei luoghi nei quali una trivella per i carotaggi del progetto fu bloccata già nel 2015 (unico punto in tutto il percorso in cui la polizia è presente in forze) – il Tav in Italia non è qualcosa di nuovo, di sconosciuto. L’Alta Velocità ha già una sua storia che non è nemmeno composta esclusivamente di scandali puntualemente prescritti ma anche di bilanci che ci raccontano da tempo di costi elevatissimi a fronte di vantaggi minimi. Ad esempio, in un report pubblicato su Altraeconomia nel 2017, si poteva leggere che i pendolari che avevano viaggiato su treni regionali nell’anno precedente erano stati 1,37 milioni mentre, nello stesso periodo, i fruitori dell’Alta Velocità erano meno di 10 mila. Ma anche senza fare ricorso a chissà quali studi, chiunque fosse partito dalla propria esperienza personale con Trenitalia avrebbe raggiunto facilmente la conclusione di come il sistema dell’Alta Velocità avesse drenato risorse immense alla reti locali. Chiunque infatti avrebbe potuto constatare come i treni regionali si fossero fatti sempre più rarefatti mentre il servizio veniva deviato inesorabilmente verso quelle “Frecce” molto più care, nonostante in Italia la distanza media percorsa in treno fosse inferiore ai 30 chilomentri e l’80% dei viaggi avvenisse tra comuni della stessa provincia. In un altro rapporto sempre pubblicato su Altraeconomia, ma nel 2012, si potevano leggere indicazioni non troppo diverse: “La Milano-Bologna è costata poco meno di 7 miliardi di euro, per un risparmio rispetto al 1999 di 37 minuti. […] la Torino-Milano, costata 7,7 miliardi di euro per risparmiare 32 minuti, avrebbe bisogno di 14 milioni di passeggeri. Oggi sono al massimo un milione e mezzo, e Trenitalia ne stimava, nel 2007, 2,1 milioni.” E forse non è un caso se dal 2010 Trenitalia aveva tagliato 1189 chilometri di linee ferroviarie tradizionali e soppresso decine decine di regionali e Intercity nonostante i pendolari su servizi regionali e metropolitani fossero in costante aumento. *

Un breve estratto tratto dal libro di WuMing1 Un viaggio che non promettiamo breve potrebbe dare maggiore profondità a questa storia:

Quand’ero ragazzo, in Italia il treno veloce c’era già. Era il cosiddetto «Pendolino». […] Entrato in servizio nel 1988 l’ETR450 toccava i 250 chilometri all’ora in rettilineo sulle linee fderroviarie tradizionali, quelle elettrificate a 3 kV cc. In curva era più veloce del trenta percento rispetto ai treni rapidi convenzionali. Arrivava da Milano a Roma in 3 ore e 58. Da Torino Porta Nuova a Milano Centrale, il Pendolino ci metteva un’ora e venti. Nel 2016, il Frecciarossa ci metteva un’ora. […]

L’idea di linee ferroviarie costruite ex novo per l’Alta Velocità, elettrificata a 25 kV cc, era apparsa all’orizzonte nel 1986, all’improvviso. Nel Piano generale dei trasporti, messo a punto solo due anni prima, non se ne faceva menzione. Pensata per il territorio francese, dove si potevano percorrere lunghe distanze in pianure poco abitate, l’Av era inadatta a un paese prevalentemente montuoso e collinare, disseminato di centri urbani medi e piccoli, ma era un’allettante mangiatoia, un affare colossale, anzi: poteva essere la metaopera che avrebbe collegato una pletora di grandi opere, la torta più grande intorno a cui potevano affollarsi general contractor, appaltatori, politici, intermediari, subappaltatori, amministratori locali, cosche mafiose, cooperative mostruose, sub-subappaltatori, smaltitori abusivi, architetti, suonatori di pifferi e grancasse…

Il libro nero dell’alta velocità, scritto da Ivan Cicconi, era la migliore ricostruzione dei primi vent’anni di Tav in Italia, e conteneva la più acuminata denuncia della grande bugia alla base dello sperpero di denaro: il cosiddetto Project financing, che simulava l’esistenza di investitori privati. In realtà le linee Av erano state costruite interamente con soldi pubblici e generando debito pubblico, ma nascondendo quest’ultimo nei bilanci di società di diritto privato. *

L’arrivo a Povo è festoso. In teoria la camminata dopo la sosta rifocillante sarebbe dovuta proseguire per un’altra mezz’ora ma la giornata di manifestazione si chiude lì, verso le due e mezza, circa quattro ore dopo la partenza.

In quella stessa domenica, in un universo del tutto parallelo, la politica istituzionale dava l’ennesima prova di sé. Come traversine dei binari di un treno che non si incrociano mai anche la politica ufficiale viveva ormai in un mondo del tutto estraneo alle necessità e ai bisogni reali della popolazione. A livello nazionale il governo del paese sembrava appeso ad un filo, anche se quasi nessuno in quello stesso paese aveva capito quasi nulla della crisi di governo che era appena stata accesa – segno inequivocabile di una politica distante, ridotta oramai puro gioco di potere, simulazione parassitaria e virtuale di ogni istanza e di ogni passione – a livello locale, invece, veniva inaugurato “virtualmente” il nuovo sito della Provincia autonoma di Trento per sponsorizzare il corridoio del Brennero. Per pura coincidenza, dunque, quella domenica vedeva manifestarsi contemporaneamente persone informate che si mettevano in cammino su quegli stessi luoghi che il marketing tutto green, appena caricato sul sito della Provincia, spacciava come parti integranti di un “corridoio europeo Scandinavo -Mediterraneo” votato alla mobilità sostenibile”.

 

E che qualcosa di grosso si stesse muovendo, dopo le mobilitazioni di novembre e di dicembre che avevano anticipato e stanato le intenzioni blocco trasversale del Tav – sembra che chiunque governi, in Italia, a prescindere dal colore politico, dai programmi e dalle promesse fatte in campagna elettorale debba per forza, una volta eletto, sposare la causa dell’Alta Velocità – lo suggerivano anche le stesse dichiarazioni degli amministratori locali.

In un post su Facebook dell’8 gennaio nel quale erano taggati, fra l’altro, anche il presidente della Provincia autonoma, il leghista Fugatti, e il neo assessore “mobilità e alla transizione ecologica” [sigh!] Facchin, il sindaco di Trento Ianeselli (Pd e già ex segretario provinciale della Cgil) lasciava intendere molto bene come il richiamo degli interessi del Tav travalicasse, come sempre, ogni differenza politica-ideologica. Ciò che sulla scheda elettorale era diviso e considerato alla stregua dell’avversario, alla corte dell’Alta Velocità si ritrova unito come non mai, perché “progetti così complessi non possono fare passi avanti senza una stretta sinergia fra istituzioni, chiamate a condividere obiettivi, a stabilire i tempi e ad affrontare la questione fondamentale del reperimento delle risorse, che almeno per quanto riguarda la circonvallazione ferroviaria sembrano ormai quasi definite.” Non a caso “la sintonia tra Comune e Provincia è necessaria anche per parlare con una sola voce con Rete ferroviaria italiana, partner strategico con cui già è stato condiviso un protocollo per la realizzazione di questo complesso progetto integrato.”

Dal post del sindaco chiaramente mancava ancora la parola esplicita “Tav” come aveva già suggerito il suo assessore alla mobilità Facchin, al suo debutto in Consiglio comunale il mese precedente: «non chiamiamola “Tav”, è un nome che rischia di confondere l’opinione pubblica» ma non si sarebbe dovuto comunque attendere molto. Sullo scacchiere amministrativo le pedine si stavano in ogni caso disponendo in tempi rapidi.

Tempo una settimana e ad evocare la parola Alta Velocità ci penserà sempre il sindaco di Trento, Ianeselli, in versione Giorgio Mastrota. Lo farà tramite una lettera imbarazzante rivolta alla città pubblicata il 15 dicembre sul quotidiano l’Adige dal titolo e dal contenuto da televendita: “Nuova ferrovia, occasione unica.” La lettera chiaramente era uno spot retorico per ciò che si cominciava a chiamare timidamente col proprio nome, Alta Velocità e per un’opera che sarebbe andata ad investire direttamente la città (e non solo in temi economici) nel futuro più immediato.

 

Ne riprendiamo alcuni passaggi perché danno bene il metro della profondità argomentativa sulla quale si dovrebbero fondare le fondamenta di un’opera di queste dimensioni con tutti i rischi ad essa collegati. Oltre a paragonare la Trento futura alla Berlino post ’89 si potevano leggere asserzioni di questo tipo: “Completare il potenziamento dei 425 chilometri di binari dalla città scaligera al capoluogo della Baviera significa unire Trento e il Trentino a quella che è stata definita la “metropolitana europea” […] Questo progetto affascianate, che risalta in tutta la sua novità ragionando su scala continentale, renderà bene l’idea di cosa significherà il completamento del progetto della linea del Brennero. E sopratutto cosa significherebbe restarne esclusi: vorrebbe dire perdere l’occasione di diventare il nodo di una rete di collegamenti in grado di accorciare le distanze e di avvicinare come mai in passato le città a nord e a sud delle Alpi. Per dire, grazie a questa rete sarà possibile risiedere a Trento e lavorare a Innsbruck (tanto più ora che abbiamo scoperto lo smart working), raggiungere Verona e Bolzano e spostarci nelle capitali europee in tempi impensabili fino a pochi anni fa.” E qua già sorge il primo dubbio. Ma lo scopo di questa fantomatica “Nuova ferrovia – AV/AC – occasione unica” non era quello di trasferire porzioni di traffico merci da gomma a rotaia? Perché allora si parla di “metropolitana europea” e di un tipo di pendolarismo che interessa pochissime persone come abbiamo visto in precedenza? O ancora, perché senza una nuova linea ad Alta Velocità, Trento sarebbe tagliata fuori dal mondo, un po’ come stare nella savana o in mezzo alla taiga siberiana, senza contare la quantità di popolazione (l’intera Provincia autonoma di Trento ha molti meno abitanti del solo Comune di Torino) che sogna di fare il pendolare a Innsbruck “tanto più ora che abbiamo scoperto lo smart working” e di pagare abbonamenti per treni veloci dato il loro prezzo universalmente riconosciuto come contenuto [sigh!].

Ma procediamo, perché il caso ha voluto che la lettera del sindaco ci fosse capitata fra le mani proprio di fronte a una celebre Facoltà di Sociologia di Trento inesorabilmente chiusa e deserta a causa del Covid e l’argomentazione di Ianeselli proseguiva proprio in questa direzione: “…ci è stato detto che il nostro ateneo, che pure è tra i migliori d’Italia, soffre per l’isolamento territoriale. «C’è bisogno di migliorare i trasporti – diceva il ricercatore – La possibilità di muoversi in giornata in Europa è importante perché è anche così che circolano le idee. La logistica è fondamentale se si vuole restare attrattivi. Altrimenti si rischia che gli investimenti restino improduttivi per mancanza di cervelli.» Quel discorso ci torna in mente oggi insieme a tanti altri sulle difficoltà di agganciare i grandi flussi turistici internazionali proprio perché Trento non ha un aeroporto né una grande stazione.” Se avete presente le code chilometriche che ogni estate affollano le mete più prestigiose delle Alpi potete farvi un’idea dell’inconsistenza assoluta e dell’insostenibilità già attuale di tali argomentazioni. Ma proseguiamo: “E pensiamo anche alle imprese trentine ad alto livello di specializzazione, che avrebbero bisogno di cercare figure professionali specifiche non solo nel bacino cittadino, ma in un territorio più ampio. ”– e per questo serve il Tav? Non bastava un buon ufficio di selezione del personale? n.d.r Che i treni veloci renderebbero facilmente raggiungibile.”

Ora, come possa ancora funzionare una retorica del genere in un anno come il 2021, immerso completamente in una pandemia che sta mettendo a nudo tutti i limiti di un sistema economico insostenibile, è un piccolo mistero. Ma forse non funziona. Forse si trattava semplicemente di quello che un sindaco ir-responsabile “deve dire” quando si trova costretto alla gestione di una gatta da pelare di queste proporzioni e che col Recovery Found stava avanzando in tutto il territorio nazionale, col riaffiorare di progetti ormai tanto ridicoli quanto scandalosi e con tutte le conseguenze del caso sulla pelle delle popolazioni.

E cosa potrebbe voler dire per la popolazione locale trentina l’apertura di una cantiere come quello per la “circonvallazione ferroviaria di Trento”, Lotto 3 della tratta di accesso Sud al Tunnel di base del Brennero, se lo lasciava sfuggire, invece, sempre negli stessi giorni, un collega di Ianeselli, il consigliere del Pd Tonini: “La transizione potrà essere anche dolorosa e avere su alcune filiere un impatto negativo. Diventa decisivo che emergano imprese nuove che ammortizzino il colpo…” Insomma da “occasione unica” a undichiarato “impatto negativo su alcune filiere” il passo è breve.

Nel territorio più famoso d’Italia quando si parla di Tav, la Val Susa ma non solo, giusto per fare degli esempi, le “nuove imprese emerse per ammortizzare il colpo”, in alcuni casi coincidevano perfettamente con la malavita organizzata conosciuta come ‘ndrangheta.

Ora torniamo un attimo alla lettera di Ianeselli che, al contrario, si chiudeva in nome dei buoni sentimenti, della “condivisione” e della “comprensione” per un “grande collettivo a cui tutti siamo chiamati a contribuire” perché “il futuro della città non è e non deve essere una questione per pochi eletti.” Chissà come mai allora la porzione di strada di fronte al Comune di Trento, martedì 2 dicembre, era stata militarizzata all’inverosimile al solo scopo di stigmatizzare quei cittadini che erano scesi in piazza a contestare e a denunciare quanto stava avvenendo silenziosamente e all’insaputa della città? Quella presenza così massiccia di forze dell’ordine non era forse già essa stessa un segnale di come quelle che oggi vengono spacciate per scelte da condividere con la cittadinanza e che in realtà erano decisioni già prese altrove e taciute fino all’ultimo?

Viaviamo tempi difficli da più punti di vista. Non c’è solo la pandemia, anche i cambiamenti climatici sono un dato reale col quale si comincia già a fare i conti. In questo senso si può dire che esistano varie forme di negazionismo climatico. Ce ne sono alcune palesi e manifeste, vedi Bolsonaro o Trump tanto per fare degli esempi lampanti, altre più subdole. Una delle più pericolose è messa in campo da chi finge di occuparsi della crisi in atto ma, anziché affrontarla di conseguenza, variando approccio e provando a immaginare un modello di sviluppo differente, la riduce a un tema come gli altri sul quale fare arrampicare promesse e progetti totalmente in linea con le politiche e le scelte di sempre.

Scelte che tutelano esclusivamente gli interessi del grande capitale e che ignorano completamente i bisogni della popolazione, applicando le stesse ricette mortifere che ci hanno condotto fin qua, vale a dire: consumo di suolo, grandi opere ad alta intensità di capitale e cementificazione a tutto spiano. Una specie di negazionismo climatico applicato e spacciato inneggiando direttamente alla “sostenibilità”, questa la parolina di successo, vagamente passpartout: “mobilità sostenibile”, “sfida sostenibile” ecc.

Cosa poi ci sia di così “sostenibile” in una nuova linea ad Alta Velocità che su 180 chilometri di tracciato ne prevederebbe solo 27,4 non in galleria non ci è proprio dato saperlo. Anche solo immaginare le tonnellate di materiale inerte da smaltire e trasportare che un buco di 150 Km produrrebbe, dovrebbe far rizzare i capelli a chiunque. E tutto questo per cosa? Per far scorrere le merci su treni ad alta velocità, per “agganciare i grandi flussi turistici internazionali” o per “unire Trento e il Trentino a quella che è stata definita la “metropolitana europea”? Perché, se lo scopo dichiarato è il primo, quello di trasferire traffico merci su rotaia dall’autostrada del Brennero non si potenziano le linee attuali ed è necessario costruirne una nuova? Perché, se quello è lo scopo dichiarato, più o meno negli stessi giorni si approvava l’ampliamento dell’A22 con la costruzione della terza corsia per il tratto Verona – Modena del Brennero?

Forse perché l’unica vera motivazione che sostiene prepotentemente l’importanza di questa grande opera è quella di fare in fretta per intercettare i miliardi messi a disposizione del Recovery Found, avviando gli iter progettuali e i lavori veri e propri il più velocemente possibile. Drenare risorse a scapito di altri capitoli di spesa, questo è il compito ultimo delle grandi opere in Italia. E ci scommettiamo, tenendo conto di queste premesse, tutte le future dichiarazioni e le prese di posizione dei vari Ianeselli, Fugatti e Facchin premeranno unicamente sui tasti del “è un’occasione unica che non possiamo lasciarci sfuggire” o di una qualche sempreverde TINA (There Is No Alternative) tipo “oramai non si può più tornare indietro”.

E forse la camminata di domenica scorsa era già un ulteriore passo per dimostrare che non è così e che c’è sempre un’alternativa.